Il doge di Lepanto

Il vecchio screanzato e dalla lingua tagliente, esecrato da molti, adesso stringeva tra le dita forse la sorte stessa della spedizione dell’Occidente. Quindi non poteva, non voleva, che agire di conseguenza, nel segno di quell’unità oltre le possibili differenze che l’Europa difficilmente aveva avuto la saggezza di perseguire nella propria storia plurimillenaria.
“È necessità, et non si può far di manco.”
Era dunque così. Anzi era obbligatorio che lo fosse, giacché la posta in gioco era elevata.
Anche se quell’individuo sfiancato dagli anni poteva forse apparire patetico allo sguardo di chi l’avesse scorto sul cassero della propria nave. Giacché non solo stava a capo scoperto come non era lecito a un gentiluomo, ma anche con le pantofole ai piedi, perché a suo dire facevano presa migliore sul legno.
Et non si può far di manco.
Inevitabile lo doveva essere, per fermare l’avanzata dell’orda che avrebbe frantumato le rivalità, ma anche messo a tacere in eterno le solidarietà dell’intera cristianità.

È il pensiero, il ricordo, che occupa la mente del doge Sebastiano Venier – uomo scorbutico, schivo, non convenzionale – in prossimità della morte, quando riflette sulla fondamentale esperienza della sua lunga vita: la partecipazione alla battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571, uno dei più importanti scontri navali della storia tra una coalizione europea sotto la protezione di Papa Pio V e la Sublime Porta di Costantinopoli, i turchi invasori.
Non si può far di manco: non si può, non si deve agire altrimenti quando la civilizzazione cui si appartiene, i principi e la fede che la caratterizzano sono messi in forse e occorre perciò sconfiggere chi intende prevaricarli, con decisione pur nel rispetto dell’avversario.
È l’eredità di ieri che il doge Venier ha lasciato ai posteri.
Forse è l’ammonimento che potrebbe indurre a riflettere anche oggi, e a trarne le conseguenze.

Massimo Trifirò è nato e vive a Lecco, della quale è Cittadino Benemerito. È lo scrittore che ha dedicato più pagine di narrativa alla sua città. È laureato in Scienze Politiche con specializzazione in Storia. Fin da giovane è stato attratto dalla scrittura, alla quale si è costantemente dedicato durante tutta la sua vita.
Ha collaborato a giornali nazionali, regionali e locali, nonché a riviste nazionali. Oltre che di numerosi interventi sui periodici, è autore di decine di libri di diversa categoria: antologie di racconti, romanzi di spionaggio, comici e di genere fantastico, biografie religiose, studi evangelici, rievocazioni storiche in forma saggistico-narrativa, dialoghi filosofici, raccolte di aforismi, antologie poetiche, libri di satira politica a fumetti.
Le sue opere più importanti sono una rivisitazione de “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni (“Il manoscritto graffiato”, 2010) e un romanzo-saggio sulla Passione di Cristo (“Gulgalta”, 2018). 

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